Una catena di ricordi/2

lunedì 13 novembre 2023
Una catena di ricordi/2

In questa catena infinita di ricordi dei salesiani del sud, posso citare tre confratelli la cui vita ha fatto crescere la mia: don Francesco Ranieri, don Gregorio Varrà e il Sig. Angelo De Cicco. Il mio è un ricordo, come preghiera di riconoscenza per ciò che hanno realizzato e per la dedizione ai giovani, a cui hanno dedicato la vita intera.

Don Francesco Ranieri
Ogni Confratello conserva una memoria cara, devota e riconoscente per il proprio Maestro di Noviziato. E noi tutti suoi ex novizi viviamo così la nostra relazione di affetto nei confronti di don “Ciccio”, nostro Maestro di Noviziato a Pacognano o a Santeramo. Don Francesco Ranieri è stata una persona ricca di una umanità cordiale e calda, come la sua terra vesuviana! E anche nei momenti immancabili di tensione, era visibilmente docile alla voce dello Spirito perché le sue relazioni fossero ispirate a carità. In lui era evidente l’impegno di superare la sua connaturale timidezza, che tuttavia noi leggevamo come una modalità di vivere la sua sobrietà nelle emozioni, il suo rispetto per tutti e la sua devozione verso i superiori. Amava la gioia e la festa secondo la modalità di spartire l’intimità dell’amicizia o, come diceva lui, di "travaso" dell’umano e del cristiano credente. Anche nell’amicizia era sempre libero di amare in verità. Uomo di profonda preghiera, spesso assorto e astratto in colloqui particolari tra la sua anima e il Signore, ma generoso nell’ascolto, delle "cose dell’anima".
Non poche volte interveniva quando, a suo parere, non si curava "l’igiene mentale" nel linguaggio, e nei criteri di lettura della realtà in genere, ma anche in quella della vita religiosa, che a volte pur riteneva impoverita dalla superficialità e da tratti di mondanità. Chi lo frequentava si riposava per la narrazione che faceva della sua vita di estrazione contadina, ma arricchita dalla formazione liberante e da quel sapere che l’aveva reso accademico della cattedra dell’intimità sapienziale imparata dal Signore ‘cordiale’, che gli era stata fatta conoscere già dall’infanzia dal suo padre ‘patriarca’, cieco, ma non di fede.
Ha avuto incarichi molteplici e differenti, situati anche in condizioni di sofferenza e di pena. In uno di questi ha dovuto vivere alcune pagine di un prolungato martirio, per umiliazioni inflittegli da chi, incapace di leggere il profondo della sua anima trasparente, non gli ha risparmiato una stagione di esilio spirituale, in nome di quell’invidia che non riesce a scorgere i semi dell’ulteriore di Dio nella beatitudine della mitezza e della povertà. E proprio questa stagione della sua vita ci ha rivelato un Maestro davvero "santerello", tutto di Dio e particolarmente quando il peccato di chi offende fa rilucere ancor più la ricchezza di chi si ancora nel Signore della giustizia e della misericordia. E così i confratelli e le tante anime, che l’accostavano numerose per il servizio del ministero e della guida spirituale, hanno scoperto, proprio nella croce che portava nel silenzio, la fonte da cui attingeva la sapienza e la serenità che traluceva nella sua persona. E, come lui affermava, le "portava al largo", dove le rendeva partecipi del "clima della Betania", nella quale donava il tempo luminoso di Dio, nel quale ci si rendeva conto di come lui vivesse nascosto in Dio.
Persona di profonda adorazione del Tabernacolo, quasi astraendosi dal tempo-spazio e sconfinando in qualche forma anche di misticismo, capace di gesti di quella ascetica del cuore e, sempre però, amabilmente presente in quell’umanità che ravvisa la chiamata all’"‘umile collaborazione con l’umanità di Gesù". Grazie, caro don Ciccio, nostro Maestro, presenza che ancora ci forma!

Don Gregorio Varrà
Con “Il Varrà" – così lo chiamavamo per antonomasia tra i membri della sua famiglia, proprio per la sua unicità nell’esuberanza della sua passione della vita - è stato proprio bello travasarci nel mare dell’amicizia, e ciò con stile salesiano. Una persona sinfoniale, dotata di virtù umane e altresì curatore di quelle spirituali e salesiane che l’hanno reso profilo da emulare.
Don Gregorio, ancora oggi dopo 20 anni dalla sua morte, si staglia come apostolo contagioso di fervore della mente che non invecchia; della mente che gode dell’immaginazione messa a servizio della "pastorale delle relazioni". Era molto difficile a non volergli bene! E quando con disinvoltura, si presentava con la sua calabresità un po'… tenace, anche in questo caso lo si perdonava, perché era capace di ritornare sui passi e si rendeva accetto a tutti.
La fedeltà alla sua vocazione giovanile ha avuto del rocambolesco, perché al termine di una giornata burrascosa nei suoi affetti familiari, “riparò” finalmente all’Istituto di Soverato, non volendo i suoi genitori che seguisse la vocazione sacerdotale, essendoci in casa già un altro figlio prete. Amava raccontarlo, il giovane Gregorio, evidenziando la sua libertà decisa nel saper cogliere l’iniziativa del mistero della chiamata. E proprio questo suo habitus ordinario di apripista del rischio, gli ha permesso di vivere anche esperienze di parresia nello stato di vita religiosa, talvolta sino al limite della prassi ordinaria. Ma superiori illuminati gli hanno riconosciuto sempre la sua abilità ad indossare l’umano, e pur firmato di fede e di carisma salesiano, per cui gli hanno chiesto le obbedienze di frontiera. Tale profezia l’ha vissuta in modo eccellente tra i territori di povertà giovanile e dell’adultità, pur senza immiserirsi. E anche in territori di periferia non ha mai diluito la spiritualità della intimità con Lui, della bellezza, dell’armonia e dell’estetica degli ambienti liturgici. Con lui si cresceva in umanità salesiana e nella cura della vita interiore attraverso lo spirito di preghiera del quotidiano e della devozione a Maria, esprimendolo particolarmente nelle feste, che egli sapeva solennizzare, creando un clima di coinvolgimento e dello star bene con don Bosco nello stile di famiglia. Questa capacità di equilibrio e di buon senso, lo rendeva visionario dell’oltre, il consolidato curatore di un pensiero emotivo che parlava al cuore senza involuzione di narcisismo educativo.
Con Gregorio ci si riposava, e anche intellettualmente, allorquando si toccavano temi per i quali bisognava dirsi chi si era nella vita della contemporaneità; come anche quando bisognava stare sul pezzo della ‘condizione giovanile’, che lui riteneva unico spazio esatto che sa mettere insieme missione e consacrazione. Questa sua tensione interiore, lo rendeva sempre capace di diffondere leggerezza e contentezza nello stare in mezzo ai confratelli, ai giovani, agli adulti e ai membri della FS, quando, da vicario ispettoriale, ha saputo curare particolarmente i salesiani Cooperatori.
Mi piace ricordare Gregorio come persona innovativa di metodi pastorali perché il regno di Dio fosse presente nel concreto del suo tempo ecclesiale e civile. Questa sua umanità fatta di cuore, di ragione arguta e salesiana, ha permesso di progettare una stagione vocazionale giovanile di confratelli e laici, tipica della nostra Ime, nella quale il Signore della messe ha fatto nascere frutti vocazionali, in un clima di duttilità nel lavoro per le vocazioni.
E così mi piace ricordare una esperienza per tutte, quella della nuova Comunità Vocazionale. Anche con il fascino della sua forza di animazione, la nostra Ime ha fatto nascere per prima in Italia l’esperienza del nuovo Seminario, appunto la Comunità Proposta. Una comunità inscritta in un oratorio, in una scuola, in un santuario e in un coinvolgimento di famiglie e di professionalità educative, anche femminili, non scontate all’epoca.


Sig. Angelo De Cicco
Col “Sig” De Cicco i confratelli sacerdoti e i giovani "chierici" dell’epoca, hanno avuto la gioia di apprezzare la bellezza della vocazione del Coadiutore salesiano! Il sig. Angelo ci ha regalato la sua persona chiara e significativa dell’ identità di consacrato laico, e mai confusa, generica o irrilevante nella sua salesianità religiosa! Presenza di grande dignità personale e professionale, nonché di evidente vocazionalità felice e riuscita. Se pure esprimeva abitualmente un senso di riverenza verso il sacerdozio, tuttavia la sua testimonianza ci faceva capire come riteneva bello il suo profilo del Coadiutore.
Sempre un “Signore” nell’ordinario contesto carico di lavoro, di relazioni e di presenza educativa tra i ragazzi del don Bosco di Napoli. Anche nelle difficoltà dei cambi culturali e pastorali, mai hai deflesso dal suo io di consacrato laico salesiano. Proverbiale la sua cautela nel registrare e valutare persone e situazioni e le tante domande nel suo lavoro di Economo e di Provveditore, e senza mai offendere nessuno, anche quando dissentiva da comportamenti e quadri di riferimenti.
Ordinato nell’ organizzazione delle sue tante cose da fare in quell’ “ufficio sul cortile”. Questa stanza era diventata un luogo di passaggio dove si era aiutati, con motti, paragoni e fatterelli edificanti, a pensare a Dio e ad orientarsi alla presenza di Dio. Generoso e pronto nel disbrigo, ma anche attento a non scivolare nella concessione affettiva o rinunziataria, ponendo sempre uno stile sobrio e da poveri, onde prevenire sprechi o velleità poco praticabili: era questo il suo metodo di evangelizzazione della pastorale occasionale.
Attento a non rendere afona la memoria storica, sapeva anche sminuire il culto di un passato non funzionale all’oggi, riconoscendo e rispettando chi sapeva vivere il cambio di metodo. La sua ironia, mai sarcastica e amara, ma a volte, pur graffiante, abbozzava un sorriso che induceva a ripensare, e gli permetteva qualche battuta essenziale. La sua postura di persona spirituale lo faceva essere puntuale nei momenti comunitari, al lavoro, ai momenti salesiani, e gli permetteva di trasmettere il suo vissuto semplice nella preghiera.
Laborioso oltre gli orari e sempre però proteso al bene della Comunità, anche quando, in vecchiaia, si dedicò al suo orticello e contento di regalare i suoi frutti ai confratelli e a quanti gli facevano visita. Stimato dai superiori, gli fu richiesta il dono della sua presenza nel Consiglio Ispettoriale, anche perché rappresentante dei Coadiutori. In questo contesto si poneva come confratello umanizzante la fatica del dibattere e della ricerca; sempre prudente e mai precipitoso anche nelle valutazioni cui era chiamato. Di una umiltà scevra da visibilità e conscio dei limiti personali, si rimetteva a chi era più sul pezzo della situazione di confratelli e delle realtà dell’ ispettoria.
Il Sig. De Cicco ha saputo fare del suo ufficio una cattedra discreta ma orientante al Sistema Preventivo. Ha saputo elargire a tanti educatori il dono della sua esperienza educativa praticabile. Ci ha insegnato come, anche in un ufficio, si può esercitare un magistero ordinario dove possono crescere tanti giovani.

don Tobia Carotenuto