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Partire per imparare a guardare

Ci sono esperienze che non si dimenticano, perché lasciano un’impronta profonda non solo nei ricordi, ma anche nel modo in cui si guarda il mondo. L’esperienza missionaria vissuta alla Casa FMA di Torre Annunziata, dal 14 al 26 luglio, è stata una di queste.
Siamo partiti con l’idea di "dare una mano", e siamo tornati con il cuore colmo di volti, storie, fatiche e meraviglie inaspettate. Ad accoglierci non è stato solo l’ambiente dell’Oratorio, ma soprattutto la presenza costante, premurosa e impeccabile delle FMA: donne disponibili, accoglienti oltre ogni immaginazione. Non solo ci hanno aperto le porte della loro casa, ma ciascuna di loro ci ha aperto il proprio cuore. Ogni spazio, ogni tempo, ogni attenzione era dedicato a noi, e non è mai mancata una preghiera rivolta al Signore per ciascuno di noi.
Le nostre giornate seguivano un ritmo semplice, ma densissimo: al mattino cominciavamo con le Lodi e la Messa, per poi correre al Centro estivo, dove ci prendevamo cura dei più piccoli tra giochi, laboratori e attività educative. Il pomeriggio era dedicato all’Estate Ragazzi, immersi in un mare di voci, racconti e occhi pieni di vita.
Uno dei doni più grandi è stata la preghiera. Pregare insieme, all’inizio e alla fine di giornate intense e spesso stancanti, ci ha permesso di rileggere tutto alla luce di Dio. Davanti a Lui abbiamo portato sorrisi, fatiche, incomprensioni, i nomi dei bambini incontrati e le storie ascoltate. In quei momenti, abbiamo compreso che dovevamo lasciarci attraversare da un Amore più grande.
Ed è proprio lì, nei silenzi, che è accaduto qualcosa di grande. Durante gli incontri di formazione, i ragazzi del posto hanno iniziato ad aprirsi. Il tema che abbiamo scelto, “Nel buio puoi essere luce”, ha fatto da chiave: ha dato coraggio, ha toccato corde profonde, ha acceso il desiderio di raccontarsi. Quelle non erano testimonianze preparate, ma cuori che si aprivano, trovando in noi un ascolto sincero, libero da ogni giudizio. Ci hanno affidato le loro esperienze, spesso segnate da dolore, fatica, solitudine. Quei momenti hanno abbattuto muri e creato legami che andavano oltre le parole. In quegli istanti, abbiamo sentito Cristo presente tra noi: nei loro occhi, nelle loro parole, nelle lacrime condivise, nella fiducia che ci è stata donata. È stato un tempo sacro, in cui abbiamo toccato con mano che Dio si manifesta anche - e forse soprattutto - nella fragilità. E abbiamo capito che non sempre si tratta di “parlare” di Dio, ma di testimoniarlo con la semplice presenza.
Spesso, tornando stanchi la sera, ci chiedevamo se ciò che stavamo facendo fosse davvero utile. Se il nostro piccolo contributo bastasse. La risposta l’abbiamo letta negli occhi dei bambini, nei gesti riconoscenti delle famiglie, nella fiducia che cresceva giorno dopo giorno. E così abbiamo capito che non servono grandi opere per fare il bene: basta esserci. Basta un’attenzione sincera, un gesto gratuito, una presenza fedele. Perché anche nelle cose più semplici si può accendere una luce in chi è abituato a vivere nel buio.
Tornando a casa, ci portiamo tanto. Ci portiamo le corse dei bambini verso di noi, le mani che cercavano le nostre durante un gioco o una preghiera, le parole sussurrate con fatica e l’immensa fiducia che ci è stata affidata. Ci portiamo anche le nostre stanchezze, le differenze affrontate con pazienza, i momenti in cui ci siamo sostenuti come gruppo.
Nel cuore, custodiamo una presenza viva: quella di Dio, che abbiamo riconosciuto nei volti incontrati e tra di noi. E ci portiamo il desiderio di continuare a vivere con quello sguardo imparato lì: uno sguardo attento, accogliente, capace di riconoscere la bellezza nascosta. E soprattutto, abbiamo compreso che la missione non è solo “partire”, ma imparare a guardare ogni luogo come una terra da amare, ogni persona come un volto da custodire. Perché ogni incontro è sacro, ogni storia è preziosa, e ogni giorno è un’occasione in cui Dio ci chiama a servire con gioia e umiltà.
Lucrezia e Dalila