I nostri partner e noi utilizziamo i cookie sul nostro sito Web per personalizzare contenuti e pubblicità, fornire funzionalità ai social network o analizzare il nostro traffico. Cliccando acconsenti all'uso di questa tecnologia sul nostro sito web. Puoi cambiare idea e personalizzare il tuo consenso ogni volta che vuoi tornando a questo sito web. Può gestire le impostazioni relative ai cookie, cliccando su 'Gestisci cookie'.
La chiave di questo Natale
Chiavi, tante chiavi. Se chiudo gli occhi ripenso ai mazzi di chiavi che ho avuto tra le mani nella mia vita di salesiano. Alcune le ricordo ancora, nei colori, nelle forme, nel peso. Molto spesso il Salesiano lo senti che arriva da lontano, accompagnato dal tintinnare delle chiavi. Sembrano quasi delle campane che annunciano una presenza.
Quante chiavi sono poste nelle nostre mani. Difficilmente si incontra un Salesiano che non si porti appresso questo fardello di potere. Sì, perché le chiavi sembrano essere la manifestazione visiva del nostro potere pastorale. “Don mi apri la porta…?”, “Don mi dai la chiave…?”, “Don mi fai passare…?”. Al tempo stesso le chiavi, le tante chiavi che portiamo appresso, sembrano essere anche la manifestazione visiva della possibilità di delega: “Ti lascio le chiavi così…” o più semplicemente “Domani apri tu?”.
A volte sembrano proporzionali alle responsabilità che ci sono affidate, altre alla nostra più o meno maturata capacità di saper lasciare andare.
E la sera quelle chiavi diventano l'immagine plastica di una giornata che si chiude, quando con stanchezza le abbandoniamo sulla scrivania o le lasciamo ciondolanti nella toppa della porta.
Ho scelto questa immagine perché mi sembra che possa timidamente aiutarci a comprendere l'esperienza che il Giubileo, ormai alle porte, ci mette innanzi: il potere di Pietro, l'apertura di porte, lo scioglimento dai legami dei peccati, sembra anche qui una questione di chiavi.
Mi sono chiesto come personalmente mi accosto a questa grande esperienza, quale speranza anima il mio cammino, quale speranza accende il mio futuro, quale speranza guida i miei passi. E mi sono reso conto di come tante volte anziché essere animati dalla speranza, finiamo con il ritrovarci avvolti dalla sua mancanza, siamo ingabbiati da dis-speranza, siamo irretiti dalla disperazione.
Natale dice il desiderio autentico e profondo di una chiave che possa davvero sbloccare la nostra vita. Natale dice la promessa di una chiave che possa finalmente liberare le nostre catene. Natale dice l’annuncio di una chiave che apre le porte chiuse, la porta chiusa della nostra vita, che spalanca la Porta Santa della nostra esistenza. E questa chiave così misteriosa e affascinante è messa nelle nostre mani, per ricordarci che non c’è più spazio per i ceppi che legano, non hanno più senso i lucchetti che serrano, non è più tempo per le porte chiuse. ?Cari confratelli, e cara Famiglia Salesiana tutta, è questo il desiderio più profondo che vorrei consegnarvi per questo Natale: il desiderio, la necessità, la certezza di una profonda libertà che il Signore ci dona e che non sempre riusciamo ad accogliere in profondità. Per questo di anno in anno, secondo la sapienza della Chiesa e dell’anno liturgico, ci viene ridonata, come una chiave che ancora una volta è posta nelle nostre mani.
E così, semplicemente e familiarmente, vorrei augurarvi e augurare a tutti voi tre aperture di cui sento tanto bisogno.
Possa il Natale aprirci innanzitutto verso una nuova interiorità. Non serviranno a nulla le celebrazioni del Natale, non servirà a nulla passare per le Porte Sante, se tutto ciò non corrisponde ad una profonda e rinnovata tensione interiore.
«Quando la vita di fede e la relazione personale con Cristo si indeboliscono, emergono stanchezza e disorientamento. Senza la forza dello Spirito, la nostra azione educativa e pastorale rischia di ridursi a mera prestazione di servizi sociali. Una vita non centrata su Cristo perde il suo cuore pulsante, cercando conferme in una forma priva di autentico frutto spirituale». (Strumento di lavoro CG 29, 8).
L’antica sapienza napoletana dice: “Se po' campá senza sapé pecché, ma non se po' campá senza sapé pecchì”. Io per Chi vivo, per chi ogni mattina affronto la giornata, per chi ogni giorno prendo in mano le chiavi di tante porte, cancelli, serrature e mi spendo nell’essere espressione visibile di nuove aperture?
Abbiamo davvero bisogno di aprirci ad una dimensione più profonda di interiorità perché questa possa aprirci ad una nuova alterità: l’alterità che si fa esperienza autentica di comunione e fraternità.
Apertura all’alterità significa avere il coraggio di chiamare per nome i nostri peccati contro l’unità, i nostri, non quelli del fratello, delle nostre comunità, delle nostre CEP, della nostra Chiesa. Apertura all’alterità significa riconoscere che, come ci ha insegnato Papa Francesco, «il tutto è sempre superiore alla parte», che la fraternità è superiore alle mie buone idee, alle mie certezze, al modo inveterato nel tempo di gestire le situazioni. Apertura all’alterità significa rinunciare alla perfezione delle cose così come le farei io, significa riconoscere che è possibile un modo diverso di fare e vivere le cose. Apertura all’alterità significa significa mettere da parte cellulari, computer, significa abbandonare le nostre confort zone per andare incontro all’altro, per tornare a guardarlo negli occhi, per cercare di tornare a chiedere “Come stai?”.
Infine l’ultima apertura che desidero augurarmi e augurarvi è verso una rinnovata azione missionaria, incarnata nell’oggi della Chiesa e del mondo. Che si traduce nel desiderio e nel coraggio di sapere abitare questo nostro tempo; che si traduce nel desiderio e nel coraggio di incontrare la gente che è quella di oggi e non quella di ieri; che si traduce nel desiderio e nel coraggio di educare le famiglie che sono quelle di oggi e non quelle di ieri; che si traduce nel desiderio e nel coraggio di accostarsi ai giovani che sono quelli di oggi e non quelli di ieri. Anche se ci sembra difficile, anche se ci sentiamo impreparati o finanche inadeguati.
Cari confratelli è davvero tutto questo che desidero augurarci e invitarci a vivere in questo Natale e in questo tempo santo del Giubileo: una profonda interiorità, una risplendente fraternità e una rinnovata azione missionaria. A ben guardare, non è nulla di nuovo, ma è semplicemente quello che il Signore ha scelto per la nostra vita ed è quello a cui abbiamo aderito nella nostra esistenza vocazionale.
Buon Natale,
don Gianpaolo Roma, ispettore