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Il Tibisco bianco e il Tibisco nero
Don Massimiliano De Luca, sacerdote salesiano napoletano, pubblica su Amazon “Il Tibisco bianco e il Tibisco nero: István Sándor. Salesiano coadiutore. Dagherrotipo di un martire”. Nel nuovo lavoro letterario, l’autore intende tracciare la vita e la radicalità della testimonianza evangelica del beato martire salesiano Sándor nella sua bella e ferita Ungheria. E’ un’occasione per poter studiare e ammirare la creatività vocazionale voluta da Dio nel giovane coadiutore, la sua origine a partire dall’intuizione carismatica di san Giovanni Bosco, il suo sviluppo sotto il rettorato degli immediati successori del santo dei Becchi.
«Il fiume Tibisco percorre una lunga strada, quasi mille chilometri. Prende avvio nei Carpazi ucraini dal Tibisco Bianco e dal Tibisco Nero, che unendosi formano una sola corrente, che attraversa l’Ungheria, baciando Romania e Slovacchia, per poi gettarsi nel Danubio, in Serbia, per divenire con esso un corpo solo e un’anima sola». Nel libro il Tibisco è un’immagine che sintetizza la varietà e l’unità del carisma salesiano: il nero ricorda la talare del sacerdote, il bianco, invece, la camicia del coadiutore. Insieme, essi formano l’unica grande corrente di grazia che Dio ha mosso dal cuore e dall’anima di don Bosco. Don Bosco immaginava i coadiutori come parte integrante dell’unico esercito di operai che lavora nella vigna del Signore (cfr. Mt 20, 1-16), perché venga raccolta buona uva per farne vino nuovo, vino di Cana (cfr. Gv 2, 1-11). Per vicissitudini personali e politiche, István Sándor sarà un operaio dell’ultima ora, dovrà tardare il noviziato e la consacrazione religiosa. Ma il tempo di Dio vale per la sua intensità, non per la sua ampiezza. István sarà uno degli operai migliori. Il vino buono sarà il suo stesso sangue di martire.
Il testo è formato da tre parti. La prima è un breve excursus storico sulla figura del salesiano coadiutore, da don Bosco al rettorato di don Pietro Ricaldone, con l’aggiunta di una piccola nota informativa sulla presenza salesiana in Ungheria durante i due conflitti mondiali; la seconda parte, invece, è un profilo breve ma denso della vita di István Sándor. Più che una biografia del giovane coadiutore, lo scritto vuole essere un dagherrotipo che, nella sua essenzialità, ha il potere di evocare un tempo passato, un volto, una storia, che domandano di essere approfonditi alla luce del tempo presente e di quello futuro. La terza parte, infine, riporta semplicemente due omelie, una del Card. Péter Erdo, l’altra del Card. Angelo Amato, riguardanti la beatificazione di István Sándor, come parte di una documentazione importante allo scopo di valorizzare in tutta la sua pienezza il chicco di grano che muore per dare vita alla migliore delle spighe in un piccolo campo, poco assolato, devastato dai venti di guerra (cfr. Gv 12, 24-26)».
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