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Sognare un nuovo “c'era una volta”
"C’era una volta…" è l’inizio tipico delle storie e delle favole che hanno accompagnato l’infanzia di bambini e bambine di ogni tempo e latitudine, che hanno sollecitato anche la nostra di fantasia e immaginazione fin da piccoli e che ci hanno donato – e forse ancora ci donano – sonni tranquilli.
Eppure, a ben vedere, questa è un’espressione audace da pronunciare, in fondo anche un po’ difficile da assumere in profondità. "C’era una volta…", infatti, è l’espressione di un qualcosa che era lì ma che ora non è più lì, di un qualcosa che era ma che ora non è più, o quantomeno che non è più allo stesso modo. Era. È la constatazione di un cambiamento già in atto o forse già concluso.
Paola Bignardi, pedagogista attenta ai temi sociali ed educativi, ha raccolto i suoi articoli pubblicati su Avvenire nel periodo ottobre-novembre 2023, con l’aggiunta di alcuni inediti, nel testo “Dio dove sei? Giovani in ricerca” edito da Vita e Pensiero nel 2024. Una riflessione su "giovani e fede" a partire da interviste a cento giovani italiani dai 18 ai 30 anni che si sono allontanati dall’esperienza ecclesiale e/o di fede: giovani e fede, «un tema su cui molto si parla e ci si interroga, non di rado senza reale cognizione di causa». Queste righe non vogliono essere una recensione o una pubblicizzazione del testo ma coglierne a mo’ di spunti la “pro-vocazione” che nasce dall’ascolto dei giovani intervistati e farne oggetto di riflessione per chi vive il proprio quotidiano tra, con e per i giovani.
Forse la provocazione più forte che emerge è: c’era una volta il giovane e la giovane così come si sono stereotipati e categorizzati nei pensieri e nelle riflessioni degli adulti negli ultimi tempi: increduli, impegnati, lontani, vicini, etc. Infatti con diretta semplicità, la Bignardi afferma che «il problema della formazione cristiana dei giovani non è tanto quello di trovare nuove forme comunicative o nuove strategie quanto quello di riconoscere che i giovani sono diversi da come ce li siamo immaginati». A ben vedere questa constatazione, questo c’era una volta sembra non avere nulla dell’inizio magico delle favole raccontateci da piccoli, e neanche del pessimismo e dello sconforto di certi educatori che dinanzi ai tempi attuali rimpiangono chissà quali tempi d’oro della loro o altrui giovinezza. L’espressione c’era una volta il giovane così come lo conoscevo sembra più avere il sapore dell’incertezza nell’educare, del disorientamento nella proposta cristiana, il sapore di una novità in fondo non richiesta da nessuno, perché dinanzi a questo “nuovo” nascono domande pastorali che sembrano minare le certezze di una prassi e di una visione nel tempo solidamente acquisite.
Tre aspetti del rapporto giovani-fede, fra i tanti, sono stati presi come provocazione per la riflessione.
Riflettendo sulle risposte date dai giovani circa la spiritualità, la Bignardi rileva che per loro «non si arriva a Dio per la via di ciò che si è ricevuto dalla fede di chi ha creduto, ma per lo più vi si giunge per un’esplorazione personale che si compie dentro il proprio mondo interiore» e infatti i giovani oggi «pensano che la dimensione religiosa della vita sia interiore e sentono l’aspetto istituzionale della fede come un inciampo che può avere anche l’esito di un rifiuto di tutto». In particolare circa la relazione con Dio, «questa si esprime in una preghiera soggettiva e poco interessata alle forme codificate, strutturate, della preghiera liturgica». Non solo, ma «sono pressoché unanimi nel ritenere che la vita cristiana non è spirituale» e per questo si rivolgono ad altre esperienze. E allora le vie crucis, i rosari, le veglie “giovanili”, i ritiri…? E, giungendo al cuore, quale il posto per la celebrazione eucaristica stessa, per continuare ad essere fons et culmen della vita cristiana?
O ancora un altro aspetto. Dalle interviste emerge che «sono pochi i giovani che narrano di esperienze di volontariato: il loro senso di solidarietà si esprime nelle relazioni brevi e informali», una solidarietà che si manifesta in «risposte spontanee, non organizzate ma reali, concrete e generose», come si osserva in occasione di emergenze e calamità. E allora l’animazione salesiana che è un cammino istituzionale, formale, con tanto di scuola di formazione e appuntamenti settimanali?
Ancora una sottolineatura sui cammini di formazione e di catechesi. La Bignardi rileva che l’età cerniera per l’allontanamento consapevole «sembra essere quella tra i 16 e i 17 anni; è l’età in cui diventa ineludibile l’esigenza di avere risposte convincenti alle grandi domande e in cui l’affacciarsi agli interrogativi della vita adulta rende esigenti, pensosi, critici». Da qui le domande diventano di natura esistenziale, riguardano la loro vita e il dare ragione delle proprie scelte. Di contro, il cammino di fede proposto agli adolescenti spesso è sotto il segno della continuità con il precedente percorso di iniziazione cristiana, «come approfondimento, come ampliamento della formazione già ricevuta», formazione però da loro allontanata perché ritenuta "da bambini". Con la Bignardi ci si può chiedere, allora, «se la crisi di questa età e la relativa proposta formativa non siano da affrontare nel segno della discontinuità, accompagnando i giovani non tanto a rafforzare le conoscenze e le ragioni che hanno già ricevuto, quanto a trovare ragioni nuove a domande nuove e a porre in dialogo questi interrogativi con una visione credente». Una fede ri-generata.
A conclusione di questi spunti, pro-vocatori e che chiedono discernimento, nati dall’ascolto vivo dei giovani della ricerca, verrebbe quasi da ringraziare per quel ‘c’era una volta’ che risuona in noi fin da piccoli, perché i giovani «ci stanno conducendo verso una Chiesa contemporanea, che non modifica il cuore del suo messaggio per renderlo accettabile ma piuttosto ripensa la cultura con cui esprimerlo». Stanno lavorando un po’ per tutti noi, chiedendo alla Chiesa non «di cambiare e basta, ma di farlo nella prospettiva del Vangelo: di mostrare interesse per l’esistenza delle persone e manifestare il desiderio di incontrarsi con quella vita che palpita nella loro coscienza e nel loro cuore, come in quello di molti, non solo giovani».
E forse sì, ascoltando e pregando, questo nuovo c’era una volta farà tornare a sognare.
don Giuseppe Spicciariello