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Una storia missionaria
Cosa significa oggi “essere missionario”? Una bella domanda che credo ogni credente dovrebbe porsi, per il bene della propria anima. A me, per esempio, questa domanda ha cambiato la vita. Non vi annoiate, vi prego, ma ve lo voglio raccontare.
Io Gesù Cristo l’ho conosciuto grazie ai missionari e alla mia famiglia, in Guatemala, dove vivevo. La presenza di padre Ambrosio ad ogni festa di famiglia, le simpatiche omelie della domenica di padre Mario Fiandri e l’oratorio festivo di padre Corral sono state la chiesa che mi ha educato alla Fede sin da piccolo. La Fede che ho imparato a casa e la gioia di conosce don Bosco, non solo sui libri ma sul volto e negli occhi dei salesiani, sono il dono più bello che quei semplici uomini ci hanno fatto da quando hanno scelto di aderire con la loro vita al desiderio missionario di Dio.
E quando arrivò il momento nella mia vita di fare delle scelte fondamentali sul mio futuro, non ho potuto fare a meno di quel desiderio grande, pieno di gratitudine e di speranza, di imitare la bontà e la gioia dei salesiani e dei gesuiti che mi hanno educato con tanto amore. Volevo seguire Dio come l’hanno seguito loro. Volevo fare del bene a tanti bambini e a tanti giovani, come hanno fatto loro nella mia vita.
I primi anni di formazione in seminario sono stati davvero belli, pieni di novità, di sfide e di confessioni. Non è stato facile accogliere la Chiamata, nonostante la grande quantità di gioie che il cortile e la comunità stavano dando alla mia vita. Fu durante la preparazione alla Prima Professione, nella meditazione della formula di professione come salesiano, che capii di avere bisogno di fare una scelta ulteriore. Diciamo di voler “donarmi totalmente a Dio”. Totalmente, senza confini geografici o linguistici. Totalmente, dove ci sarebbe stato bisogno.
Era un’abitudine in comunità dedicare l’11 di ogni mese a un tempo di preghiera per le missioni salesiane, approfondendo attraverso dei video le diverse esperienze nel mondo. Per me ogni 11 di mese significava ascoltare di nuovo quel forte battito del cuore, quel desiderio di fare anch’io esperienza del donarmi totalmente come quei coraggiosi salesiani. Lo dissi alla mia guida spirituale e per tre anni portammo avanti il discernimento, fino al momento nel quale finalmente inviai la lettera al Rettor Maggiore, con la quale mi rendevo disponibile alle missioni.
A giugno del 2015 ricevetti la lettera con la mia destinazione, l’Albania e il Kosovo, e da gennaio del 2016 iniziai la mia avventura in queste terre balcaniche. I primi otto mesi furono una sfida tremenda riguardo al clima, alla lingua e al contesto. Poi arrivò il tempo di andare in Italia per lo studio della teologia.
Dal 3 luglio 2020 mi trovo nella bella Scutari, la ‘Valdocco’ della famiglia salesiana in Albania. Qui la missione è davvero particolare. Superata la prima sfida linguistica e logistica, il seguente step è stato quello di conoscere la realtà, la gente e la storia. Conoscere i modi e le tradizioni, i gusti e i loro divertimenti. Adattarmi ad un nuovo modo, per me, di essere credente, di essere salesiano e poi, di essere prete. Dico “poi” perché ho avuto la grazia di essere stato ordinato sacerdote in mezzo a loro. Un messaggio chiaro da Dio per la mia vita: essere salesiano sacerdote per loro e con loro.
Ci sono alcuni aspetti che vi faccio notare. In Albania e Kosovo siamo attualmente 18 salesiani, di 10 paesi diversi, 4 continenti presenti. Se devo dire qualcosa riguardo a Scutari, posso dire che la gente conosce e ama don Bosco, e vive l’oratorio con passione e creatività. Sono tante le famiglie cristiane, e ho la gioia immensa di vedere ancora tanti bambini e tanti giovani partecipare alla Messa della domenica, e confessarsi spesso e volentieri. Il rapporto con i musulmani è molto fraterno e il nome di don Bosco è rispettato e benvoluto da tanti in questa città.
Quindi, cosa sono venuto a fare? Perché non è un posto di “prima evangelizzazione” come negli inizi, e nemmeno un villaggio sperduto, come uno immagina le missioni. È una chiesa adolescente, rinata dopo il brutale comunismo, con tanta vitalità ed energia. È un cortile ancora pieno, allegro, dinamico.
Quindi, c’è bisogno di missionari? Nella mia umile opinione ed esperienza vi posso assicurare che non avevano loro tanto bisogno di me quanto io di loro. Io ne avevo bisogno di loro per imparare a credere e ad amare come padre Ambrosio. Loro avevano “sete” di preti giovani ed io come prete ho sete della loro fede, dei loro sogni e dei loro cuori. Insieme abbiamo bisogno gli uni gli altri per scoprire così la bontà di Dio e la sua Divina Providenza. Il ‘come’ poi lo stiamo ancora elaborando.
Pregate, quindi, per i missionari e per le missioni. Ma pregate anche perché Dio vi dia il coraggio e questa bella pazzia di rendervi disponibili a lasciare tutto per trovare Lui nei cuori dei giovani che ci aspettano, che pregano ogni giorno Dio di avere un amico, una guida, qualcuno che li parli di Dio e li faccia sentirsi amati e capaci di sognare. Pregate, ma abbiate il coraggio di essere pronti a diventare risposta alle loro preghiere.
Ecco, quindi, cosa significa essere missionario salesiano: pregare, rendersi disponibili e amare, come Gesù, come padre Ambrosio, come don Bosco. Vi assicuro troverete tante difficoltà, ma ne vale la pena e la vita. Vi assicuro, sarete felici.