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Don Bosco apostolo dell’Ausiliatrice e il Rosario
Il santo Rosario gli doveva essere famigliare, perché dai primi tempi dell'Oratorio fino agli ultimi anni di sua esistenza volle che impreteribilmente fosse recitato dai giovani tutti i giorni. Era per lui pratica di pietà necessaria per ben vivere, quanto il pane quotidiano per mantenersi in forze e non morire...
"Quanti conobbero Giovanni fanciullo ci attestano il suo amore alla preghiera e la sua grande divozione verso Maria santissima. Il santo Rosario gli doveva essere famigliare, perché dai primi tempi dell'Oratorio fino agli ultimi anni di sua esistenza volle che impreteribilmente fosse recitato dai giovani tutti i giorni: non ammise mai che ci potesse esser causa che dispensasse una comunità dalla recita di questo. Era per lui pratica di pietà necessaria per ben vivere, quanto il pane quotidiano per mantenersi in forze e non morire" (MB I 90).
Giovannino Bosco imparò ad amare e a pregare il Rosario alla scuola di Mamma Margherita, come lui stesso raccontò: "Sua massima cura fu di istruire i suoi figli nella religione, avviarli all'ubbidienza ed occuparli in cose compatibili a quella età. Finché era piccolino mi insegnò Ella stessa le preghiere; appena divenuto capace di associarmi co' miei fratelli, mi faceva mettere con loro ginocchioni mattino e sera e tutti insieme recitavamo le preghiere in comune colla terza parte del Rosario" (Memorie dell'Oratorio).
Mamma Margherita eccelle come maestra di preghiera e la preghiera è un fatto di famiglia, di condivisione della fede. Appreso dalla mamma, Giovannino non ebbe vergogna di far pregare il rosario ai suoi amici e anticipò la preghiera e la catechesi ai giochi e al divertimento, iniziando quello stile educativo che lo porterà ad essere pastore dei giovani. "Ai Becchi avvi un prato, dove allora esistevano diverse piante, di cui tuttora sussiste un pero martinello, che in quel tempo mi era di molto aiuto. A questo albero attaccava una fune, che andava a rannodarsi ad un altro a qualche distanza; di poi un tavolino colla bisaccia; indi un tappeto a terra per farvi sopra i salti. Quando ogni cosa era preparata ed ognuno stava ansioso di ammirare novità, allora li invitava tutti a recitare la terza parte del Rosario, dopo cui si cantava una lode sacra. Finito questo montava sopra una sedia, faceva la predica, o meglio ripeteva quanto mi ricordava della spiegazione del vangelo udita al mattino in chiesa; oppure raccontava fatti od esempi uditi o letti in qualche libro. Terminata la predica si faceva breve preghiera, e tosto si dava principio ai trattenimenti. In quel momento voi avreste veduto, come vi dissi, l'oratore divenire un ciarlatano di professione. Fare la rondinella, il salto mortale, camminare sulle mani col corpo in alto; poi cingermi la bisaccia, mangiare gli scudi per andarli a ripigliare sulla punta del naso dell'uno o dell'altro; poi moltiplicare le palle, le uova, cangiare l'acqua in vino, uccidere e fare in pezzi un pollo e poi farlo risuscitare e cantare meglio di prima, erano gli ordinarii trattenimenti. Sulla corda poi camminava come per un sentiero; saltava, danzava, mi appendeva ora per un piede, ora per due; talora con ambe le mani, talora con una sola. Dopo alcune ore di questa ricreazione quando io era ben stanco, cessava ogni trastullo, facevasi breve preghiera ed ognuno se ne andava pe' fatti suoi" (Memorie dell'Oratorio).
Fu grazie alla preghiera a Maria che Don Bosco approderà con i suoi giovani alla dimora stabile dell'oratorio di Valdocco. Dopo tanto peregrinare e diversi rifiuti, finalmente la domenica delle Palme del 1846 poté annunciare: "Domenica, domenica andremo nel novello Oratorio che è colà in casa Pinardi; e loro additava il luogo. Quelle parole furono accolte col più vivo entusiasmo. Chi faceva corse o salti di gioia; chi stava come immobile; chi gridava con voci e sarei per dire con urli e strilli. Ma commossi come chi prova un gran piacere e non sa come esprimerlo, trasportati da profonda gratitudine e per ringraziare la S. Vergine che aveva accolte ed esaudite le nostre preghiere, che in quel mattino stesso avevam fatto alla Madonna di Campagna, ci siamo inginocchiati per l'ultima volta in quel prato, ed abbiamo recitato il SS. Rosario dopo cui ognuno si ritiro a casa sua" (Memorie dell'Oratorio). Descrivendo quali erano le pratiche di pietà più comuni nell'Oratorio, si afferma: "Soprattutto stava a cuore a Don Bosco il santo Rosario, e per questo aveva descritto con brevissime contemplazioni i quindici misteri. Una terza parte di Rosario la faceva recitare ogni festa, esortando con fervore i suoi giovani a continuare, potendolo, questa pia pratica, ogni giorno della settimana nelle loro case.
Egli intanto finché, fu solo ne recitava giornalmente una terza parte con sua madre e poi, aggiungendosi i giovani ricoverati, col Rosario si assisteva nei giorni feriali alla santa Messa. Dal punto che l'Oratorio fu aperto in Valdocco fino ai tempi presenti, ad ogni sorgere di aurora il suo caro recinto risuonò impreteribilmente di questa orazione, così cara al cuore di Maria e così efficace nelle angustie della Chiesa. Una volta all'anno in cappella nella sera di Ognissanti si recitò sempre intiero il Rosario in suffragio delle anime del purgatorio, e Don Bosco non mancava mai di prendervi parte inginocchiato nel presbitéro e guidando sovente egli stesso la preghiera" (MB III 16).
E' bello ricordare che ai Becchi, borgata natia di don Bosco, al pian terreno della casa del fratello Giuseppe, nell'angolo a ponente dell'abitazione, era stato adattato un piccolo ambiente ad uso cappella, e don Bosco lo dedicò alla Madonna del Rosario. La chiesetta venne da lui inaugurata l'8 ottobre 1848. Il Santo, fino al 1869, vi celebrava ogni anno la festa della Madonna del Rosario, solennizzandola con la presenza della banda musicale e del coro dei ragazzi di Valdocco. Il locale fu il primo centro di culto mariano voluto da don Bosco e testimone privilegiato degli inizi della Congregazione Salesiana. Qui infatti, il 3 ottobre 1852, Michele Rua e Giuseppe Rocchietti ricevettero l'abito chiericale. In questa cappella pregò certamente anche Domenico Savio il 2 ottobre 1854, in occasione del suo primo incontro con don Bosco e nei due anni successivi durante le vacanze autunnali ai Becchi.
Don Bosco considerava la recita del Rosario uno dei punti fondamentali del suo metodo educativo. Nel febbraio del 1848 il marchese Roberto d'Azeglio, amico personale di Carlo Alberto e senatore del Regno, onorò l'oratorio di una sua visita. Don Bosco lo accompagnò a visitare tutta la casa. Il marchese espresse la sua viva compiacenza, ma con una riserva. Definì tempo perduto quello occupato a recitare il Rosario.
- Lasci - disse - di far recitare quell'anticaglia di 50 Ave Maria infilzate una dopo l'altra.
- Ebbene - rispose Don Bosco - io ci tengo molto a tale pratica; e su questa potrei dire che è fondata la mia istituzione; sarei disposto a lasciare tante altre cose pure importanti, ma non questa. E con il coraggio che gli era proprio soggiunse:
- E anche, se fosse necessario, sarei disposto a rinunziare alla sua preziosa amicizia, ma non mai alla recita del S. Rosario (Cfr MB III 294).
Il santo dei giovani fu certamente uno dei più fervidi sostenitori della pratica del Rosario per salvarsi dalle insidie del demonio, per far rifiorire la fede, per ottenere e custodire la purezza dei giovani, per difendersi dagli errori, per aiutare la S. Chiesa: era la corda di salvezza con cui battere, vincere, distruggere tutti i demoni dell'inferno, come raccontò in un famoso sogno fatto la vigilia dell'Assunta del 1862.
"Voglio contarvi un mio sogno fatto poche notti sono. Sognai di trovarmi con tutti i giovani a Castelnuovo d'Asti a casa di mio fratello. Mentre tutti facevano ricreazione, viene a me uno ch'io non sapeva chi fosse, e mi invita ad andar con lui. Lo seguii e menommi in un prato attiguo al cortile e là mi indicò fra l'erba un serpentaccio lungo sette od otto metri e di una grossezza straordinaria. Inorridii a tal vista e voleva fuggirmene:
- No, no, mi disse quel tale; non fugga; venga qui e veda.
- E come, risposi, vuoi che io osi avvicinarmi a quella bestiaccia? Non sai che è capace d'avventarmisi addosso e divorarmi in un istante ?
- Non abbia paura non le recherà alcun male; venga con me.
- Ah! non son così pazzo di andarmi a gettare in tal pericolo.
- Allora, continuò quello sconosciuto, si fermi qui!
E poi andò a prendere una corda e con questa in mano ritornò presso di me e disse:
- Prenda questa corda per un capo e lo tenga ben stretto fra le mani; io prenderò l'altro capo e andrò alla parte opposta e così sospenderemo la corda sul serpente.
- E poi?
- E poi gliela lasceremo cadere attraverso la schiena.
- Ah! no per carità! Perché, guai se noi faremo questo. Il serpe salterà su indispettito e ci farà a pezzi.
- No, no; lasci fare a me.
- La, là! Io non voglio prendermi questa soddisfazione che può costarmi la vita.
E già me ne voleva fuggire. Ma quel tale insistette di nuovo, mi assicurò che non avevo di che temere, che il serpe non mi avrebbe fatto male alcuno e tanto disse che io rimasi e acconsentii a far il suo volere. Egli intanto passò dall'altra parte del mostro, alzò la corda e poi con questa diede una sferzata sulla schiena del serpe. Il serpente fa un salto volgendo la testa indietro per mordere ciò che l'aveva percosso, ma invece di mordere la corda, resta da essa allacciato come in cappio corsoio. Allora mi gridò quell'uomo:
- Tenga stretto, tenga stretto e non lasci sfuggire la corda. E corse ad un pero che era là vicino, e legò a quello il capo di corda che aveva tra le mani: corse quindi da me, mi tolse il mio capo di corda e andò a legarlo all'inferriata di una finestra della casa. Frattanto il serpente si dimenava, si dibatteva furiosamente e dava giù tali colpi in terra colla testa e colle immani sue spire, che laceravansi le sue carni e ne faceva saltare i pezzi a grande distanza. Così continuò finché ebbe vita; e morto che fu, più non rimase di lui che il solo scheletro spolpato. Morto il serpente, quel medesimo uomo slegò la corda dall'albero e dalla finestra, la trasse a sé, la raccolse, ne formò come un gomitolo e poi mi disse:
- Stia attento neh! Così mise la corda in una cassetta che chiuse e poi dopo qualche istante aprì. I giovani erano accorsi attorno a me. Gettammo l'occhio dentro alla cassetta e fummo tutti stupiti. Quella corda si era disposta in modo che formava le parole Ave Maria!
- Ma come vai ho detto. Tu hai messa quella corda nella cassetta così alla rinfusa ed ora è così ordinata.
- Ecco, disse colui; il serpente figura il demonio, e la corda l'Ave Maria o piuttosto il Rosario che è una continuazione di Ave Maria, colla quale e colle quali si possono battere, vincere, distruggere tutti i demonii dell'inferno" (MB VII 238-239).
Anche la grande impresa missionaria che lanciò i salesiani nel mondo intero è segnata dalla preghiera del rosario, come vide don Bosco in un sogno missionario: "E vidi che i nostri Missionari si avanzavano verso quelle orde di selvaggi; li istruivano ed essi ascoltavano volentieri la loro voce; insegnavano ed essi imparavano con premura; ammonivano, ed essi accettavano e mettevano in pratica le loro ammonizioni. Stetti ad osservare, e mi accorsi che i Missionari recitavano il santo Rosario, mentre i selvaggi, correndo da tutte parti, facevano ala al loro passaggio e di buon accordo rispondevano a quella preghiera" (MB X 55).
Questa devozione al S. Rosario lo accompagnò fino al termine della vita come ricorda questa testimonianza del 1886: "Del suo stato di salute in quei due ultimi anni don Cerruti depose nel processo informativo: 'Quando e il mal di capo e il petto affranto e gli occhi semispenti non gli permettevano pi-affatto di occuparsi, era doloroso e confortante spettacolo vederlo passare le lunghe ore seduto nel suo povero sofà, in luogo talvolta semioscuro, perché i suoi occhi non pativano il lume, pure sempre tranquillo e sorridente, con la sua corona in mano... Sono intimamente persuaso che la sua vita negli ultimi anni soprattutto fu una preghiera continua a Dio" (MB XVII 262).
Preghiera
O Rosario benedetto di Maria,
catena dolce che ci rannodi a Dio,
vincolo di amore che ci unisci agli Angeli,
torre di salvezza negli assalti dell'inferno,
porto sicuro nel comune naufragio,
noi non ti lasceremo mai più.
Tu ci sarai conforto nell'ora dell'agonia.
A te l'ultimo bacio della vita che si spegne.
E l'ultimo accento delle nostre labbra sarà il nome tuo soave,
o Regina del Rosario, o Madre nostra cara,
o Rifugio dei peccatori, o Sovrana consolatrice dei mesti.
Sii ovunque benedetta, oggi e sempre, in terra e in cielo
(Beato Bartolo Longo).