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Il Tutto nel frammento
Scriveva il noto teologo, il cardinale Hans Urs von Balthasar: «Dove c’è solo il tutto c’è la violenza dell’ideologia, la quale pretende di avere essere tutto. Dove c’è solo il frammento, c’è solitudine e l’indifferenza. Dove invece il tutto sposa il Frammento, lì splende il raggio della bellezza. (…) Per non annegare nella solitudine del frammento, per restare catturati dalla prigionia del tutto dell’ideologia, abbiamo bisogno di un tutto umile, di un tutto crocifisso, di un tutto fragile e vicino, di un tutto nel frammento»[1].
La saggezza e la fede del pensiero di von Balthasar mi inducono a ripensare e allo stesso tempo confermare la necessità dell’annuncio della Verità e testimoniare la presenza di Dio in questo periodo storico. Una presenza, quella di Dio che al contrario del virus, continuerà a realizzare il Suo Regno nei frammenti di vita che è in ogni persona umana. Il Suo Essere Tutto crocifisso, fragile e vicino, ci consente di ripensare alla Sua "immagine" e alla Sua efficacia salvifica. Ma soprattutto ci offre la possibilità di incontrarlo non tanto in una dimensione speculativa e dottrinale, quanto nella capacità di cogliere in ogni frammento dell’esistenza il Suo Amore, la Sua Salvezza, la Sua Gloria. Tradotto in parole semplici, poter affermare:"Tutto è grazia". Dobbiamo sviluppare un’immagine di Dio e del Suo agire come un frammento quasi impercettibile per determinare l’ingresso onnipotente di Dio e della Sua Signoria nella storia. Un frammento della nostra fede e delle nostre semplici esistenze in grado di poter ospitare il "Tutto" presente nel Totalmente Altro.
Per dare forza al pensiero che da anni mi accompagna nella fede e nella ministerialità, (grazie prima di tutto alla mia famiglia naturale e poi quella religiosa) mi sembra bello ripensare ad una "mistica del frammento" per esaltare il TUTTO di Dio, attraverso il dono che Dio ha fatto dandoci Don Bosco.
La spiritualità del tempo di Don Bosco, soprattutto quella legata alla formazione e alla ministerialità sacerdotale, lo guardava con sospetto e persino con l’orribile dubbio che quel modo di fare fosse dettato da una fede mediocre, nel senso scarsamente visibile da un certo apparire liturgico. Fu criticato in tal senso (forse più per invidia che per motivi dottrinali) perché la sua vita consisteva nel correre e farsi rincorre con i giovani e dai giovani, specialmente o soprattutto dai più poveri e abbandonati. Certamente nei confronti di Don Bosco non c’è un’accusa ideologica o dottrinale. È la prassi educativa che riportata nella comunità cristiana rischia di offuscare quel metodo catechistico e pastorale che vedeva la salvezza solo per chi avrebbe compreso, condiviso e praticato gli insegnamenti dottrinali rappresentati dal "magistero" del tempo. Indubbiamente Don Bosco apre un varco del tutto nuovo. Da quelle esistenze così martoriate dei "suoi" ragazzi, partiva per rielaborare un volto di Dio, ricco di misericordia, chinato "all’altezza" dei più piccoli e sostenuto dalla "maternità" di Maria per colmare un’affettività "violentata" dalle guerre, dalle morti precoci dei genitori e dalla miseria.
Il “giansenismo” di allora e poi il "fascismo" della metà novecento, hanno inquinato la bellezza evangelica intrapresa da Don Bosco per essere motivo di speranza e perciò di salvezza per i "suoi" giovani. Non è un caso che il nostro santo scriverà da Roma una “Lettera”, considerata un pilastro educativo per la tradizione salesiana (e non solo). Don Bosco piange per come i giovani non sono più considerati il motivo gioioso per una autentica vita consacrata. Lo deduce dal modello di disciplina instaurato dai suoi "figli", duro, austero, ma soprattutto di "scarsa confidenza" tra i giovani e gli educatori. Quelle lacrime rappresentano ancora oggi per il mondo dell’educazione e per la Famiglia di Don Bosco (famiglia salesiana), un monito, un parametro, un metodo per definire l’Amore per i giovani, un modo concreto per "salvarsi e salvare". Il pericolo che don Bosco vede e certamente ha intravisto in forza della sua forza profetica una certa "fascistizzazione", oggi si potrebbe dire con un linguaggio più raffinato, omologazione dell’educazione. Non si può negare che nell’affermazione cara a Don Bosco "l’educazione è cosa di cuore", si possa dire che questo uomo, credente e prete, abbia manifestato e donato, in quel Piemonte segnato dall’esperienza di tantissimi orfani, i valori essenziali per una crescita armonica: la paternità di Dio, la fraternità di Gesù, la maternità della Madonna.
Certamente, la presenza di sua madre, "mamma Margherita" è uno stimolo educativo non da poco. È un vero e proprio promemoria di quanto le figure educative diano necessari, al di là di ogni vincolo di sangue: se questo prete piemontese fosse stato napoletano avrebbe condiviso e diffuso il proverbio napoletano (e non solo) il quale afferma che "i figli non sono solo di chi li fa, ma soprattutto di chi li cresce". Insomma, la vita donata con tanto amore da parte di mamma Margherita sicuramente avrà ricordato quanto fosse vera e avvertita la presenza di Maria. Il nostro "grande" Don Adolfo L’Arco, era solito dire che “Don Bosco era da considerare il padre ma anche la mamma più autentica dell’800 italiano”. Dimensioni essenziali, necessarie, vitali per una crescita sana e felice di tutti quei giovani che avevano impresse le ferite della guerra, della povertà e dell’emarginazione. Ma dentro questa storia di Don Bosco, a quel tempo "giudicata" dal "bigottismo e clericalismo" (attenzione che queste patologie sono sempre nostalgicamente in agguato) mi piace pensare il "Santo dei giovani" come un precursore del Concilio e di quella spiritualità e prassi pastorale e che poi si svilupperà soprattutto in America Latina soprattutto verso i giovani e l’umanità più povera ed abbandonata. Mi riferisco alla già citata dinamica ecclesiale e pastorale recepito immediatamente prima e dopo il Vaticano II e cioè lasciarsi evangelizzare prima di tutto dai giovani e dai poveri.
Rimando alla memoria dei tantissimi episodi di inculturazione e incarnazione da parte di Don Bosco narrati nelle sue inestimabili Memorie biografiche. Gesti e linguaggi che per il "prete di strada" Giovanni Bosco diventano forme concrete per entrare in empatia con giovani che non conoscevano la tenerezza, nè tantomeno la gioia cristiana. Eppure, dal modello educativo che si evince dentro e fuori la Chiesa di quel tempo, le "gesta" di quel prete sono state persino considerate frutto della follia o comunque di una mancanza di prudenza che non si addice ad un uomo di chiesa. Don Bosco fu considerato folle. Anche questo fu detto e perciò si pensò di arginare tale follia con il ricovero in manicomio, cosa che non avvenne perché i giovani e la strada avevano abilitato don Bosco a riconoscere velocemente i buoni e i cattivi. Oggi questa memoria ha assunto un tono leggero nella narrazione salesiana. Forse è giusto che sia così, ma credo che vada sempre rivisitata quella malefica intenzione marcatamente "clericale", infastidita dall’innocenza di "Giovannino".
Dinnanzi all’apparente nulla che può mostrare un ragazzo, in qualsiasi epoca, dobbiamo fare memoria della speranza che il santo educatore nutre nei confronti dei ragazzi. Bartolomeo Garelli sembrava possedere solo il nulla manifestato dai tanti no che diceva dopo le domande più essenziali che gli venivano rivolte. La luce e la tenerezza dello Spirito di Dio, fecero porre un’ultima domanda da parte di don Bosco: Sai fischiare? Fu la domanda in extremis che consentì a Don Bosco di esaltare qualcosa di buono che veniva dal vissuto di quel giovane. Un fischio e allo stesso tempo la forza di invocare l’intercessione della Madonna, è l’icona più bella di un santo che pur essendo tale si lascia raccontare la presenza di salvifica di Dio da chi sa solo "fischiare". Fu così che iniziò una delle storie più belle e vere dell’umanità e della Chiesa: era l’8 dicembre del 1841. Una data da non dimenticare. Il "cielo" raggiunse questa terra così martoriata dalla fame, dalla povertà e dall’ignoranza attraverso il fischio di un ragazzo e l’Ave Maria pregata da Don Bosco. Nel "frammento di un fischio", la Misericordia di Dio assunse le forme dell’Amore che accoglie e santifica i giovani più poveri ed abbandonati.
Questo era, è, e dovrà essere ovunque l’oratorio di Don Bosco.
don Tonino Palmese
[1] Hans Urs von BALTHASSAR, Gloria, vol. I, La percezione della forma, Jaca Book, Milano 1975, p.11.